Qualche giorno fa sono dovuto andare a Milano, che da casa mia dista pochissimi chilometri, ma è come se fosse su un altro pianeta.
Era una giornata grigia ed uggiosa e, dopo aver lasciato l'automobile in un parcheggio di periferia, ho preso la metropolitana per attraversare la città.
Quando sono arrivato in prossimità della destinazione, mi sono accorto di essere 15 minuti in ritardo. Nulla di grave, ma mi sentivo in dovere di accellerare il passo.
Mi sono trovato su un marciapiedi stretto stretto sul bordo di una di quelle strade troppo piccole e troppo trafficate che caratterizzano il centro di Milano.
Pioveva. Tick tack. Davanti a me, coperta da un ombrello che occupava tutta la larghezza del marciapiedi, camminava -tick tack- una giovane signora in equilibrio su lunghi tacchi fasciata in una gonna che pareva un paio di taglie troppo stretta. Era piccolina e con passi stretti -titick titack-, scalpicciava velocissima sull'asfalto.
Guardo l'orologio due volte il 10 metri, il ticktaccare era insistente e dopo un paio di minuti mi sono scoperto ad innervosirmi: come si fa a camminare tickettando con quel ritmo frenetico eppure procedere così lentamente?
Tick e poi tack, rallenta appena appena passanda dovanti ad un negozio di scarpe. Tick-tack. Mi sono immaginato la griglia di un tombino in cui la malcapitata sarebbe rimasta irrimediabilmente incastrata, oppure un fortuito scollamento del tacco -tick, tack, crock-, magari aiutato da un "involontario" calcetto alla giusta altezza. Tick, tack. Ho immaginato un cane che, innervosito dal ritmo troppo sostenuto le azzannasse -tick, tack, woff- l'esile polpaccio. Ho pensato che un vaso potesse cadere dal terzo piano di un palazzo e cadere -tick, tack, crash- proprio in mezzo a quell'enorme ombrello.
Insomma -tick, tack- colavo ferormoni amari ed elettrizzati come una lumaca lascia la striscia sull'asfalto.
Arrivati alla prima svolta, gonnestrette -tick e tack- ha lasciato la mia strada per immettersi in una laterale. Sgrunt. Riguardo l'orologio, sono passati solo 3 minuti.
La domanda è: perché ci innervosiamo così facilmente? Come siamo arrivati a questo?
Al ritorno, per recuperare il rapporto con il mio tempo, mi sono infilato in un negozio a tutto da 1€ e -per togliermi uno sfizio- mi sono comprato tre nuovi giocattoli:
- una penna a 4 colori (in realtà le penne erano due in una confezione, ma una non funzionava) con cui arricchirrò di colori e scarabocchi il blocchetto note per il blog
- una calcolatrice, con cui ho calcolato che guadagnando il 7% di interessi all'anno avrei impiegato 10 anni e sei mesi circa a raddoppiare il capitale, senza contare la svalutazione
- un magnete da frigorifero che raffigura un faccione bianco a pois rossi, per la nostra collezione
Secondo l'ONU, per la prima volta nella storia dell'umanità, nel 2008 la popolazione urbana mondiale ha superato quella rurale (articolo su Repubblica). Inizio a pensare che sia la città stessa ci innervosisca, come può innervosire vivere in luogo non adatto alla vita umana.
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