Riporto qui l'intervista di Alix Van Buren allo storico Tom Segev intitolata "Quella piaga irrisolta dal '48, il nostro più grande errore", presa da Repubblica del 27/08/2014.
lunedì, settembre 01, 2014
Quella piaga irrisolta dal '48
«Continueremo così: noi colpiremo per fermare i razzi,
i palestinesi per dire: 'Sparo, dunque esisto'»
(Tom Segev)
Riporto qui l'intervista di Alix Van Buren allo storico Tom Segev intitolata "Quella piaga irrisolta dal '48, il nostro più grande errore", presa da Repubblica del 27/08/2014.
L'intervista è presa pochi giorni dopo l'inizio della tregua che ha posto fine all'Operazione Margine di Protezione.
Credo sia illuminante su ciò che è successo e succede a Gaza.
«GAZA è una spina nel fianco
d'Israele dal 1948, cioè da quando centinaia di migliaia di palestinesi
profughi da Israele si riversarono in quella piccola striscia: un
focolaio d'animosità di chi aveva perso la propria casa e voleva riaverla.
Senza sapere questo, non si capisce Gaza. Ora la popolazione si è moltiplicata, stipata in un'enorme
prigione. Lasciare irrisolto il problema di Gaza è stato forse il più
grave errore della nostra storia».
Tom Segev ha
l'autorevolezza dei "nuovi storici" israeliani impegnati a riscrivere
la "narrativa" ufficiale del Paese, ad esempio nel suo libro più
citato, 1967.
Professore Segev, la tregua cambierà qualcosa?
«Posso solo
sperarlo. Ne abbiamo urgente bisogno, sia noi sia i palestinesi. Le richieste di Hamas sono ragionevoli: l'apertura del varco con l'Egitto, il porto. Nulla che non possiamo
concedere, se non fosse per le lotte fra i politici. Mi auguro che
coglieremo l'occasione, infatti è l'ennesima tregua dopo l'ennesima guerra».
È la sesta dal 2004, e con quali risultati?
«Da molto tempo
prima. Dagli Armi '50 abbiamo provato di tutto per "estinguere" il
problema di Gaza: L'abbiamo tante volte occupata e evacuata, fino allo sbaglio dell'embargo che ha
privato la popolazione di ogni speranza e futuro. Chi non ha più niente da perdere
è pericolosissimo per Israele».
Nel libro lei cita il premier EshkoL Nel '67 diceva
"Voglio che se ne vadano tutti, anche sulla luna". Cosa intendeva?
«Era una battuta nel
suo stile contadino, in yiddish. Dopo la Guerra dei sei giorni avremmo potuto
disinnescare la crisi di Gaza, il sovraffollamento, trasferire in Cisgiordania
larga parte dei profughi. Li avrebbero potuto lavorare, avere una vita, anziché ridotti alla
disperazione, a far niente. Gaza si sarebbe potuta sviluppare: può essere la Singapore del Medio Oriente»
E invece?
«Ora ci ritroviamo
Hamas, che investe soldi in razzi e tunnel indifferente alla miseria e alla
morte della propria gente. Ci colpisce con razzi artigianali, tanto che lo
scudo non può intercettarli. È un crimine contro Israele e i palestinesi.»
II premier Netanyahu ha raggiunto i suoi obiettivi?
«Né lui né altri
potranno farlo, se il negoziato non fisserà una "quiete" di lunga
durata Infatti, nessun
esercito ha mai vinto contro un'organizzazione terroristica. Netanyahu può solo infliggere
altra devastazione. Hanno sofferto anche gli israeliani sotto piogge di
razzi».
Lei parla di
"quiete" e non di pace?
«Per ora la pace è
impossibile. Anche fra l'israeliano e il palestinese più moderati, l'abisso
storico è ancora troppo profondo da colmare. Se si scontrano due identità, ognuna definita in base
alla terra, non c'è compromesso. Continueremo così: noi colpiremo per
fermare i razzi, i palestinesi per dire: 'Sparo, dunque esisto'».
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